Da
luglio dell’anno scorso la vicenda tarantina è balzata agli onori delle
cronache e con essa molte questioni correlate. Una di queste è quella relativa
alle malattie tumorali di cui moltissimi cittadini tarantini e non solo soffre
a causa della diffusione nell’aria di sostanze cancerogene. I rischi per la
salute, come anche il caso della Fibronit di Bari testimonia, non riguardano
soltanto i lavoratori, ma anche le persone che all’interno delle fabbriche non
sono mai entrate. Fatto sta che la Puglia, ad oggi, è un territorio colpito
duramente dalle patologie tumorali, ma allo stesso tempo non riesce
efficacemente a difendersi o perlomeno a rimarginare le ferite. Queste parole
di premessa sono necessarie per segnalare una situazione che l’Unione Sindacale
di Base della provincia di Bari, con il responsabile del settore Vito Galiano,
tiene a diffondere. La giornata di domani, 7 febbraio, sarà dedicata dal
sindacato di base a testimoniare il dissenso nei confronti dell’amministrazione
dell’Istituto Oncologico Giovanni Paolo II di Bari, «che – come si legge nel
volantino dell’USB – è a rischio di chiusura», difatti è stata diffusa la
notizia del taglio dei posti letto, che l’amministrazione dell’Istituto vuol
portare da 135 a 85. A questo si aggiunge la «mancanza, da parte
dell’amministrazione dell’Istituto, di un piano di risanamento aziendale atto a
coprire il disavanzo dell’ente (stando alle informazioni dell’USB, pare che
l’Oncologico sfori di un milione e duecentomila euro al mese e di circa di 15
milioni l’anno) e a rilanciare, quindi, la produttività assistenziale
dell’Istituto al fine di abbattere concretamente le liste di attesa e impedire
quindi il possibile fallimento e la chiusura dell’unico polo oncologico della
provincia di Bari e dell’intera regione.
Inoltre
l’USB a questa drammatica prospettiva, precisa «che ci troviamo di fronte alla
negazione, da parte della Direzione Strategica dell’Oncologico, di importanti
diritti e istituti contrattuali nei riguardi delle lavoratrici e dei lavoratori
quali ad esempio: l’indennità di sala operatoria, il pagamento di lavoro
straordinario effettuato così come il rispetto degli accordi stipulati con la
precedente amministrazione sulla retribuzione dei buoni mensa relativi agli
anni 2010-2011 e sul riconoscimento delle progressioni economiche orizzontali
ai dipendenti assunti negli ultimi 5 anni, il pagamento delle somme residue dei
fondi contrattuali, il pagamento di altre importanti indennità».
Quindi «l’azione di protesta dell’Unione Sindacale di
Base – si legge ancora nel comunicato – si rende necessaria per denunciare la
grave situazione economica dell’Istituto e mira principalmente a ottenere una
legge speciale per l’Oncologico di Bari che consenta di superare il blocco
delle assunzioni e assumere un numero adeguato di personale sanitario (medici,
infermieri, tecnici sanitari, operatori socio sanitari, ausiliari)
indispensabile per far funzionare a pieno regime le 6 (sei) sale operatorie e
non le attuali 2 (due). Tutte le richieste della USB, che interessano i cittadini-utenti,
gli ammalati, il personale dipendente e lo stesso Istituto, sono rimaste
inevase o decisamente respinte dall’amministrazione e le problematiche
denunciate, oltre a rimanere irrisolte, sono addirittura peggiorate. Lo
sciopero proclamato contro un’amministrazione che, come la precedente,
costringe i dipendenti a ricorrere al Giudice del Lavoro per farsi riconoscere
i diritti negati (con grandi disagi per i dipendenti e per lo stesso Istituto, che
viene messo nelle condizioni di pagare anche le spese), è giusto e necessario».
Dunque, come abbiamo imparato dalla vicenda tarantina, salute e lavoro sono due
nodi fortemente intrecciati. Difficilmente, forse mai prima d’ora, i due
aspetti sono stati trattati assieme. Questo, forse, è già un punto di svolta.
06.02.2014
Vito Stano