giovedì 1 novembre 2012

"Adesso è il momento di lottare per salvare i posti di lavoro, in quanto la questione dell’inquinamento è stata accertata e su questo punto non si torna indietro. Ora è il momento che l’Ilva e lo Stato paghino per la bonifica e la ristrutturazione degli impianti": parla Vito Galiano, Cgil


a cura di Vito Stano

Taranto - Foto google.com
“Ho sempre sostenuto che il sindacato sbagliava, perché, anziché tutelare la salute del lavoratore, tutelava il posto di lavoro. Il sindacato deve dire al lavoratore che in condizioni di rischio per la salute non si può lavorare, perché ci si ammala e si muore”. 

Con questo pensiero di Vito Galiano, sindacalista della Cgil esperto di questioni legate a malattie degenerative, riprendiamo lo Speciale Taranto che abbiamo intrapreso su questo blog. 
Quindi cosa avrebbe detto o fatto se fosse stato delegato di fabbrica all’Ilva?

Prima di tutto avrei proposto di spegnere tutto, perché oltre alla fabbrica e ai suoi operai stiamo inquinando la città e chiaramente non da oggi, ma da dieci anni fa. Difatti gli errori del sindacato partono da allora, quando lo Stato ha venduto l’Italsider alla famiglia Riva. Già da allora  andava fatto il lavoro di ristrutturazione, prima che l’Ilva cominciasse a produrre. L’Ilva doveva, dopo l’acquisto, mettere in sicurezza la fabbrica e rendere gli impianti idonei alla produzione; invece la produzione non si è fermata un attimo, tenendo presente che il parco macchinari era già obsoleto. Pertanto visto che la situazione attuale è praticamente la stessa di dieci-quindici anni fa, oggi l’unica strada percorribile è bloccare tutto, altrimenti non si potrà abbattere l’inquinamento.

Quindi il sindacato deve tutelare la salute o il posto di lavoro?

L’operaio non vuole perdere il posto di lavoro, ma il sindacato deve tutelare la sua salute. Dunque lo Stato deve intervenire per obbligare la famiglia Riva a sottoscrivere un accordo con cui si dovrà prevedere la cassa integrazione per i lavoratori, di cui i lavoratori hanno sempre avuto paura. Su questo punto dobbiamo tenere presente che l’istituto della cassa integrazione è nato per permettere al lavoratore di ovviare al salario al momento della ristrutturazione dell’azienda, che è naturale che prima o poi venga attuata.

Ma qualcuno dice che ci vogliono tre anni…

Secondo le informazioni di cui dispongo non ci vogliono tre anni, ma meno di due anni. Lo Stato deve provvedere alla cassa integrazione dei lavoratori per due anni e imporre all’Ilva di ristrutturare e successivamente di riprendere la produzione nello stabilimento di Taranto. Il risanamento degli impianti è fondamentale per salvare i posti di lavoro e per salvare la città dall’inquinamento.

Quindi questa operazione “pulizia” è possibile?

Sì, questa operazione si può fare e questo io l’ho sempre sostenuto. L’alternativa qual è, continuare a tenere accesi gli altiforni continuando a uccidere i bambini? Lo Stato ha ordinato ai genitori dei bambini di Statte e del quartiere Tamburi di non fare giocare i bambini nei parchi perché il terreno è pieno di agenti inquinanti. Come si può vivere in queste condizioni? Per non parlare dei bambini nei passeggini… Nel giro di dieci-quindici anni la popolazione di Taranto, se non si spegne la fabbrica, sarà ammalata di tumore. Stante alla situazione attuale, il picco delle morti direttamente riconducibili alle cause dell’inquinamento si raggiungerà appunto tra dieci-quindici anni.

Allora da dove si dovrebbe iniziare? E chi dovrebbe iniziare a fare qualcosa?

Gli errori commessi sono gravi, andiamo per grado. L’azienda sanitaria ha il dovere di fare le ispezioni quando si ricevono delle segnalazioni. Detto ciò gli ambientalisti denunciano questa situazione da una vita e da sempre vengono additati come allarmisti.

Chi si è opposto agli ambientalisti?

Dapprima il governo Berlusconi e in particolare il ministro del Turismo dell’epoca Michela Brambilla, ma soprattutto il sindacato. A Taranto in estate stava scoppiando la guerra civile: da una parte manifestazioni degli operai con Cisl e Uil contro la magistratura e dall'altra la Fiom Cgil invece non ho scioperato contro le decisioni assunte dalla magistratura, ma ha fatto solo questo e qui Landini (segretario nazionale Fiom-Cgil, Ndr) mi ha deluso.

Solo l’azione giudiziaria tiene la barra dritta.

Dopo le alterne vicende di questi mesi la magistratura in sostanza non ha fatto retromarcia: la decisione è rimasta quella di mantenere il sequestro sugli impianti senza farli fermare e di far iniziare i lavori di bonifica. 

Lavori di bonifica che però non partono... 

I parchi minerali dovevano essere coperti, ma da luglio a oggi nulla ancora è stato fatto. Riva se ne frega, perché non vuol scucire soldi suoi e aspetta che lo faccia lo Stato!

Parliamo di responsabilità.

La responsabilità deve essere assunta da diversi soggetti istituzionali: in primis dal Servizio Sanitario Nazionale, perché non deve essere la magistratura ad imporre il sequestro degli impianti e la successiva bonifica, ma il Servizio Sanitario Nazionale e il fatto che nulla sia stato fatto è indicativo di colpe che devono essere riconosciute. Vien da pensare che il Servizio Sanitario Nazionale abbia dei motivi per non intervenire. Quali non è dato saperlo. Nessuno dice nulla, ma i colpevoli meritano di essere arrestati e quella è la fine che faranno. Con la presentazione del “Rapporto Sentieri” si chiude il discorso, sfido chiunque adesso a dire cose senza senso.

E il ministro dell’Ambiente Corrado Clini?

Dovrebbe dimettersi, come giustamente stanno chiedendo i Verdi, perché oltre a dire il falso, Clini ha detto cose che un ministro non deve dire. Peraltro quando c’è stato l’incontro ad agosto era assente il ministro della Salute Renato Balduzzi, perché se interpellato avrebbe dovuto dare i dati e allora la verità non avrebbe più potuto essere occultata e infatti qualche giorno fa è avvenuto proprio questo. 

E cosa mi dice del Registro Tumori?

Mentre diversi soggetti si accapigliavano sui dati e il ministro Balduzzi presentava il “Rapporto Sentieri” molti hanno dimenticato che in Puglia è stato istituito con legge regionale del 2007 il Registro Tumori, che è un organismo creato appositamente per verificare le cause dell’aumento di casi di tumore sul territorio regionale. Il lavoro di questo organismo è di fare monitoraggio costante e, come nel caso di Taranto, qualora i dati registrano percentuali allarmanti deve intervenire, perché la struttura è composta da un primario medico e un equipe di dipendenti regolarmente stipendiati. Se il Registro Tumori non interviene viene meno la sua stessa natura di organismo di controllo e raccolta dati.

In pratica come funziona il Registro Tumori?     

Ogni ospedale della Puglia deve comunicare i dati, che confluiscono presso l’ufficio preposto sito nella struttura dell’ospedale oncologico di Bari.

Il Registro Tumori ha funzionato o no?

Questo è da accertare. Ma c’è anche da dire che se la Regione non interviene sull’Asl, quest'ultima viene meno ai propri doveri. La catena istituzionale è evidente. Il sindaco di Taranto per esempio, il quale è il massimo responsabile del Servizio Sanitario Nazionale in città, doveva chiedere subito i dati, perché non l’ha fatto? E poi ritorniamo alle responsabilità del Ministero, che deve intervenire perché, così come alcuni specialisti sanitari interpellati sul caso Taranto hanno affermato, “la situazione a Taranto è sconvolgente: si tratta di una emergenza sanitaria senza precedente che va affrontata con urgenza senza alcun tentennamento”.

Quindi cosa dovrebbe fare il sindacato?

Prima che tutto chiuda Cgil, Cisl e Uil si dovrebbero riunire e dovrebbero convincere il Governo a costringere i Riva a sottoscrivere un accordo, che preveda la cassa integrazione per i dipendenti e il ripristino delle condizioni lavorative adeguate.

Quindi in sostanza lei dice che i Riva devono provvedere alla bonifica per far riprendere la produzione dell’acciaio a Taranto?

Sì, a Taranto si deve riprendere la produzione dell’acciaio, perché le nuove tecnologie, in uso per esempio in Svezia, permettono di produrre senza inquinare l’ambiente. Adesso è il momento di lottare per salvare i posti di lavoro, in quanto la questione dell’inquinamento è stata accertata e su questo punto non si torna indietro. Ora è il momento che l’Ilva e lo Stato paghino per la bonifica e la ristrutturazione degli impianti. E a questo punto anche gli operai devono prendere coscienza che è assolutamente necessario spegnere e accettare la cassa integrazione, perché è ormai accertato che si muore non solo dentro ma anche fuori la fabbrica. Questa tragedia è molto più grave della situazione che dell'Eternit di Casale Monferrato o dell’Enichem di Brindisi, una tragedia così non si è mai vista nel mondo del lavoro. La differenza tra la tragedia dell’amianto di Casale Monferrato e l’inquinamento industriale di Taranto è che gli operai che lavoravano nella fabbrica e i cittadini si unirono nella lotta per chiudere la fabbrica, mentre a Taranto gli operai e la popolazione si stanno scontrando tra loro con il rischio di una guerra civile. A Taranto da una parte ci sono gli operai appoggiati dal sindacato che difendono il posto di lavoro e dall’altra parte la popolazione di Taranto appoggiata da comitati cittadini che difendono la salute e l'ambiente.

Cosa hanno in comune Casale Monferrato e Taranto?

Ciò che le accomuna è che entrambe le città sono state sacrificate sull’altare dei vantaggi economici del grande capitale industriale, il quale tra i propri vantaggi economici e la tutela della salute e dell’ambiente persegue sempre i primi. Questa è la realtà. E aggiungo che i grandi capitalisti sono convinti che portare qualche migliaio di posti di lavoro li autorizza ad uccidere persone e ambiente. Questo è quello che è successo a Taranto. Mentre gli operai vanno a lavorare in condizioni così elevate di rischio per la salute non si rendono conto che stanno contribuendo a far ammalare i loro figli.

Quindi la sua critica è forte nei confronti della Cgil?

La mia critica è nei confronti dei sindacati confederali, perché non hanno aperto vertenze su questo punto. Il sindacato non ha protetto il lavoratore.

E la catena alimentare?

Siamo arrivati a chiudere il Mar Piccolo (il primo seno, Ndr) perché le cozze sono risultate piene di diossina, oltre ad abbattere centinaia di pecore. Allora com’è possibile ancora oggi chiedersi, come ha fatto il ministro della Salute Renato Balduzzi, se i tumori sono causati dalla catena alimentare! È certo che la catena alimentare è viziata da agenti inquinanti, altrimenti perché uccidere tutte quelle pecore e tutte quelle tonnellate di mitili?

E la Regione Puglia?

Anche il presidente Vendola dovrà assumersi le sue responsabilità, altro che abbracciarsi con l’ex ministro Fitto quando il Governo Monti ha dichiarato di stanziare 140 milioni di euro per la bonifica. Intanto l’Ilva non ha stanziato un centesimo... Dobbiamo ricordarci che per la bonifica di Porto Marghera furono stanziati 5 miliardi, mi pare che ci sia una bella differenza. Vale di più la laguna di Venezia rispetto al Mar Piccolo?  

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